L’angoscia

La simultaneità è letteralmente l’incontro, se l’incontro avviene senza più lo sfondo di alcuna realtà consolidata, se l’incontro apre una breccia nel logos. Quando avvertiamo che l’evento passato (può essere una nostra fantasia o un desiderio appena accennato, semplicemente una domanda silenziosa) si realizza nell’incontro inatteso, la realtà (probabilistica) si dissolve. Avvertiamo allora che il tempo e il mondo sono davvero nella parola. Quando il fantasma del logos si dissolve emerge il nesso causale come fantasma originario. Ovvero la relazione causale è alterata, per quanto riguarda la ragione del logos. La voce appare condizione del kairos. Il fantasma originario in fondo non è che questo (del tutto inconscio): un desiderio o un pensiero vago, una fantasia, una domanda appena accennata, un voto non ancora pronunciato, che a causa della voce (della ripetizione della voce) si realizzano. Non c’è alcuna ragione superiore per questo accadere.

Ne inferiamo che la causa, dopo le varie discussioni filosofiche, da Aristotele a Hume a Mach, è da riprendere in un senso del tutto sconvolgente e inaudito. La causa è ciascuno. Ciascuno è l’oggetto nella parola.

Per i cristiani, la figura di Cristo anticipa questa profonda intuizione, pur se persisterà il dualismo e la bipartizione di un mondo fra esterno e interno, alto e basso, ecc.

Per i buddisti, ciascuno è evocato come boddisatwa della terra (ciascuno è un Buddha), e la voce come causa non è certo scartata, benché permanga una concezione soteriologica e mistica del mondo e dell’uomo. L’enigma di una relazione causale caratterizzata dalla simultaneità (di causa effetto) e della realizzazione del desiderio di ciascuno pur essendo esplicitamente proclamato, non viene ulteriormente interrogato.

Per gli psicoanalisti “ciascuno” ovvero il sembiante come causa è semplicemente rappresentato nella figura del soggetto. Ma il soggetto non è che un “ciascuno” che ha perso la voce e non è più causa, dunque assoggettato al mondo e in balia della mancanza. Nessuna apertura. Rassegnazione e morte assicurata.

Intorno al rapporto fra causa e funzione disserta fra gli altri Musil nel suo commento critico (Sulle teorie di Mach, Adelphi, 2010) all’opera di Mach, il grande fisico e filosofo positivista del principio del secolo scorso, che suggeriva di sostituire definitivamente la funzione alla causa.

Funzione di voce vuol dire che la funzione sostituisce il nesso causale. Per noi la causa tuttavia persiste, pur dimorando impenetrabile nell’abisso del desiderio di ciascuno, desiderio sciolto e affrancato con l’esercizio della voce. Ridotta a un punto vuoto, eppure la causa non scompare. Riappare vertiginosamente come voce, o come un indizio, un desiderio appena accennato, come la fantasia di ciascuno. Addirittura, forse, la fantasia di ciascuno come causa, il sogno e il racconto. La funzione della causa si confonde con la causa della funzione. Il nesso causale era una costruzione eretta sulla base del verso temporale già istituito, senza simultaneità. Mentre in relazione al kairos, la causa si confonde con l’effetto. Ciascuno diviene la causa assoluta.

Lacan si era avvicinato a un tale riscontro, insistendo sull’invenzione dell’oggetto causa di desiderio. Ma anche per lui questo oggetto restava contrapposto a un soggetto, sia pur barrato, in afanisi. Restava pur sempre un soggetto, che è invariabilmente soggetto della volontà o della subordinazione al dominio dell’Altro. Restava qualcosa dell’ordine della coscienza, ovvero la scienza del luogo comune, la spazializzazione, la rappresentazione, la negazione, della parola. Senza tripartizione, l’uno diviene chiunque, un ognuno, ancora un soggetto. Senza tripartizione la voce è cancellata ed è l’uno che si bipartisce.

Ipotizzando “ciascuno” come causa la contrapposizione fra soggetto e mondo si dissolve. La legge della fisica, qualsiasi legge è rinviata a questa “vuota matrice” per apparire ora come una figura del logos, cioè ingannevole rappresentazione, non più valida al di là del momento della sua formulazione.

Se ora non siete nel vortice di uno spossessamento assoluto è perché non avete capito. La portata di questa annotazione a me sembra eccezionale. Come non venir colti da angoscia di fronte a questa rivelazione? Ciascuno è la causa.

Ora, l’unica risposta possibile all’angoscia è quella etica. Ritrovare la via etica, quella del desiderio. Non resta che affidarsi alla parola. Anzi la funzione dell’angoscia semmai è proprio questa: accorgersi che il soggetto non è vittima e non è padrone, che non vi è proprio alcun soggetto. L’angoscia è la risposta, ancora soggettiva, di fronte alla coincidenza, ovvero all’avverarsi di una relazione causale appena sfiorata, appena soltanto pensata. Appena desiderata e poi lasciata andare. Non considerata, perché se così fosse stato, non si sarebbe per niente realizzata. L’angoscia è l’effetto della constatazione che non posso in alcun modo tornare al pensiero razionale per situare la causa. Che devo proseguire lungo una strada che non so dove possa condurre. Se individuare la causa, cioè la credenza nella causa prima o ultima del mondo e delle cose, obbediva a una funzione di rassicurazione, l’angoscia è invece una spinta verso l’apertura, un invito ad agire.

Dunque, la causa, anche intesa come causa dei fenomeni fisici (cancellata la cosiddetta realtà deterministica dei fatti, la necessità della natura) è l’ombelico di ciascuno. Certo è riconosciuta come causa soltanto a posteriori. Se in circostanze eccezionali, del tutto improbabili, incontro Tizio al quale il giorno prima avevo solo per un attimo pensato, questo pensiero, appena sfiorato nella mente, è dunque causa dell’incontro? C’è da rimanere sbigottiti, come in effetti accade. Non è però sufficiente chiamare “forza del pensiero” questa causa. Certo, è più rassicurante l’idea di essermi sbagliato, che si tratta di una mera coincidenza, rispetto a quest’altra che si possa dare un collegamento fra l’abbozzo di pensiero verso Tizio e l’effettivo incontro con lui. L’angoscia è però benvenuta, giacché è come se da qui in avanti non mi consentisse più alcuna rappresentazione possibile di Tizio, dell’oggetto, né dell’Altro né del tempo o dello spazio, e persino dello stesso nesso causale. Si apre una breccia che in realtà è un abisso. Non ci resta che brancolare, che fare.

Gabriele Lodari